Zsuzsa Vajdovics: Zio Alessandro

(Sándor Lénárd in Italia)

in Osservatorio Letterario, anno IV/V, N.17-86, novembre-dicembre/gennaio-febbraio 2000/2001


Sì, proprio lui.
L'uomo dai tanti mestieri e tanti nomi che si firmava Alexander Lenard, Alessandro Lenard, Alexander Lenardius o Sándor Lénárd. Ognuno di questi nomi si riferisce ad una persona diversa: Alexander è lo scrittore inglese, amico di Robert Graves oppure il poeta di lingua tedesca dalla voce fine, malinconica e classicheggiante. Lenardius è il famoso latinista, traduttore di Winnie ille Pu, la versione latina della storia di Milne. Alessandro è il dottore romano, pubblicista di libri scientifico-divulgativi. E Sándor? E' naturalmente l'autore di due romanzi autobiografici in ungherese che raccontano la vita quotidiana del dr. Alexander, il medico tedesco dei coloni in una valle sperduta nel sud del Brasile.

Ma Zio Alessandro?

Era dopo la guerra. Lenard era arrivato a Roma nel 1938, fuggendo da Vienna dopo l'Anschluss, per iniziare una nuova vita. Scrive in Storie romane (Római történetek, trad.it. Magda Zalán):
"Incominciare una nuova vita! Chi non ha deciso una volta almeno di volere iniziare una nuova vita? Solitamente ci si entusiasma all'idea di una nuova vita dopo la predica domenicale. O quando il medico ti avverte che questa volta i risultati dell'esame del sangue sono negativi. Oppure quando dice ”adesso è guarito però stia attento la prossima volta!” Oppure quando decidi di prendere lezioni d'inglese o di smettere di fumare... Ma per la nuova vita - e quest'ultimi lo sanno bene - ci vuole ben altro: un intervento più doloroso. Non bastano nemmeno un paio d'anni in galera o in un monastero. Se vuoi iniziare una nuova vita prendi la tua valigetta e va' in un paese sconosciuto. Per maggior sicurezza non portare con te denaro, perché col denaro si finisce prima o poi col ricomprarsi la vecchia vita: acquisterai di nuovo i tuoi libri preferiti, gli amati spartiti, ti metterai a scrivere lettere ai vecchi amici, arrederai la tua stanza come ti piaceva. . Avrai la scrivania con la lampada come a casa, userai lo stesso inchiostro di prima, prenderai la stessa medicina, aspetterai la fioritura della stessa pianta che avevi una volta. Sulla parete il ritratto dei tuoi genitori, ti seguiranno i tuoi vecchi diari. Dagli oggetti che una volta ti accompagnavano e ti erano fedeli servitori, risorgerà la tua vecchia vita e soffocherà quella nuova.
Se vuoi iniziare una nuova vita devi finire prima la vecchia. Devi morire per rinascere. Devi imparare balbettando la nuova lingua e, con le nuove parole, le nuove metafore, devi imparare nuove poesie se vuoi citare un verso. Devi imparare che la farmacia ha un odore diverso. Altre sono le parole gentili, altri sono i tabù. Devi gridare in un modo diverso se ti pestano un piede. Se hai fame ti sogni altri cibi. Se guadagni denaro saranno nuove cifre a dirtene il valore.
All'età di ventott'anni è già difficile iniziare una nuova vita. Si hanno già le radici, si è già imparato qualcosa, forse si è già arrivati a qualcosa. Si ha un capitale: gli amici, la fiducia dei bottegai, una lingua di cui si conoscono tutti i segreti e con la quale sembra di poter descrivere perfettamente il mondo conosciuto. Se uno è filosofo ha già pronte le basi del suo sistema. Se è un poeta già ha trovato la propria voce. Se fa il calzolaio ha già i suoi contatti. Le ferite si rimarginano più lentamente di quando aveva diciott'anni. Nelle vene già gli si formano piccole macchie sclerotiche e le cornee ormai sono meno elastiche. Ha già superato i grandi amori, o almeno così crede, è affezionato alle proprie abitudini, agli scrittori preferiti, alle passeggiate preferite. Non è bello ricominciare da capo."

Eppure doveva ricominciare da capo. Pur essendo medico, non potè avviare la pratica, visse con mestieri di fortuna, misurando la pressione sanguigna in farmacie, visitando pazienti bisognosi di iniezioni, facendo traduzioni e correzioni di testi medico-scientifici. Questo periodo della sua vita, dal '38 al '43 è raccontato nel romanzo autobiografico Storie romane. Lo scrittore tace invece del periodo seguente che comprende i tempi della Resistenza quando, assieme alla giovane moglie Andrietta, la Diana del romanzo, aiutava partigiani e ufficiali alleati nelle missioni e nella fuga, tace sugli anni della dopoguerra, fino all'emigrazione in Brasile nel 1951. A parte di alcuni piccoli episodi, gli eventi di questi anni non vengono menzionati in nessuna delle sue opere.

Nell'immediato dopoguerra, con l'aiuto dei suoi ex compagni della Resistenza, iniziò a collaborare ai giornali "rossi". Pubblicò articoli di divulgazione medica ne L'Italia Socialista e ne Il Mondo, condusse una rubrica di consigli grafologici ne La Settimana e raccontò le favole udite da suo padre alle lettrici di Noi Donne, firmando, appunto, come Zio Alessandro.
I punti fermi della sua vita, le risorse a cui attingeva nei momenti di disperazione erano la sua madrelingua, l'ungherese, il ricordo della sua infanzia e di suo padre. Le favole di Zio Alessandro sono quelle di Jenő Lénárd, favole orientali incantate che raccontano di Nasreddin Hodja, dell'elefante e i sette ciechi o del saggio Mehmed Bey, che, dispensati i sui consigli, sorseggia il suo caffé, lo stesso caffé che per Lenard è sempre stato il simbolo della pace e del benessere perduti con l'infanzia e mai più riconquistate, nemmeno nella casa invisibile nella valle di Dona Irma, nel sud del Brasile.

 



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